La Libia sembra oggi inestricabilmente stretta in una morsa di caos e violenza. Il paese è conteso fra due distinti governi: il Governo di accordo nazionale (Gna – Government of National Accord) di Tripoli, guidato da Fayez al-Sarraj e riconosciuto dalle Nazioni unite, e un governo con sede a Tobruk che controlla l’est del paese a capo del quale vi è Khalifa Haftar, un ex-ufficiale ribelle dell’esercito Gheddafi che attualmente comanda una forza militare nota come Esercito nazionale libico (Lna – Libyan National Army). Gli sforzi internazionali volti a riportare unità e stabilità sembrano procedere con lentezza e con scarsi risultati.
Eppure nove anni fa, all’alba delle Primavere arabe, la Libia parve rappresentare l’esempio del successo delle forze democratiche contro una sclerotica dittatura.
Queste aspettative sembrarono ancora più credibili nei mesi immediatamente successivi alla caduta del regime di Gheddafi: la produzione di petrolio riprese a ritmi sostenuti e nel giugno 2012 ebbero finalmente luogo elezioni libere, che portarono alla formazione di un nuovo governo. Eppure, da quel momento in poi, la Libia è caduta sempre più vorticosamente in una spirale di instabilità e violenza. I governi di Tripoli si sono rivelati timidi in termini di slancio riformista e deboli e frammentati a livello istituzionale. Gli scontri fra milizie rivali si sono fatti sempre più aspri e frequenti e, fra il 2014 e il 2015, la Libia è perfino divenuta il focolare di sviluppo e di espansione di maggiore importanza per l’ISIS/Daesh al di fuori della Siria e dell’Iraq.
Questa inaspettata e dolorosa discesa nel caos può essere spiegata tenendo conto di diversi fattori. In primo luogo, le previsioni ottimistiche hanno probabilmente sottovalutato la sfida rappresentata dalla frammentazione geografica e sociale della Libia. La società libica è caratterizzata da forti legami tribali e clanici, e spesso i rapporti fra le diverse regioni e i diversi centri urbani del paese sono caratterizzati da diffidenza e rivalità – tendenze che fra l’altro sono state aspramente esacerbate negli anni della dittatura di Gheddafi, il quale per conservare il potere praticava delle politiche di cooptazione e di divide et impera. Con il crollo del regime queste rivalità sono tornate in superficie e in molti casi le milizie rivali hanno approfittato della rivoluzione e dell’intervento internazionale per prendersi delle rivincite o portare avanti i propri interessi specifici. Il collasso del regime di Gheddafi ha inoltre reso molto facile l’accesso a consistenti arsenali e le armi si sono diffuse senza controllo sia in Libia che nei paesi vicini, aumentando ulteriormente la tensione.
Questa constatazione ci porta al secondo fattore, forse ancora più importante nel determinare l’attuale spirale di caos e di violenza che ha colpito la Libia: il coinvolgimento di attori e potenze straniere. Subito dopo la caduta del regime di Gheddafi, la Libia è uscita dalla lista delle priorità degli Stati Uniti, l’attore chiave per il successo delle operazioni Nato. In assenza di una forte leadership politica e militare di Washington, i paesi europei della Nato si sono rivelati incapaci di colmare il vuoto creato dal collasso del regime e ciò ha aperto finestre di opportunità per altre potenze con interessi legati alla Libia, come i paesi del Golfo, la Russia di Vladimir Putin e la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. La crisi libica si è dunque progressivamente internazionalizzata e il paese è divenuto uno dei teatri della competizione fra potenze che sta prendendo sempre più piede nello scacchiere mediterraneo. Questa dinamica ha esacerbato le tensioni interne e ha reso il conflitto ancora più intricato e difficile da risolvere.
Come già osservato, attualmente il governo di Tripoli è riconosciuto ufficialmente dalle Nazioni unite, ma di fatto i suoi sostenitori principali sono l’Italia, il Qatar e la Turchia. Il governo turco ha recentemente concluso anche un accordo marittimo con Sarraj, promettendo sostegno militare in cambio di forme di cooperazione che avranno come effetto il favorire le pretese di Ankara sui giacimenti di gas recentemente scoperti nel Mediterraneo sud-orientale, in particolare al largo di Cipro. La Turchia ha dunque inviato dei contingenti militari in Libia, e fra questi figurano anche dei combattenti siriani. L’interventismo di Erdoğan ha inoltre inasprito le relazioni fra la Turchia da una parte e Cipro, Israele e la Grecia dall’altra.
Haftar e il suo esercito, da parte loro, possono contare sull’appoggio della Russia, dell’Egitto e degli Emirati arabi uniti. Mosca aveva stretto importanti accordi economici con il regime di Gheddafi e Haftar sembra rappresentare, agli occhi dei leader del Cremlino, la speranza più concreta di tutelare i propri interessi. Il Cairo e gli Emirati sembrano invece puntare su Haftar per arginare l’influenza delle reti islamiste transnazionali – come la Fratellanza musulmana – e del Qatar, che ha invece deciso di puntare sui movimenti popolari islamisti per creare una propria rete di influenza nella regione. Anche la Francia appoggia di fatto Haftar. L’uomo forte di Tobruch è sembrato infatti un partner più affidabile per contrastare la minaccia terrorista, molto sentita da parte di Parigi. Sul campo, al fianco delle forze di Haftar, sono inoltre apaprsi mercenari russi e sudanesi.
Sarraj e Haftar si sono recentemente incontrati a Mosca su impulso di Erdoğan e Putin, e domenica 19 gennaio si è svolta la tanto attesa Conferenza di Berlino. Un aspetto incoraggiante dell’incontro nella capitale tedesca è stato il raggiungimento di un cessate-il-fuoco e l’impegno a non fornire ulteriori armi ai belligeranti, anche se questo risultato appare poco credibile in quanto non sono esplicitamente previste sanzioni in caso di violazione, e non sembra dunque essere in grado di determinare l’interruzione delle ostilità tra le forze di Haftar e Serraj. Il leader di Tobruch sta tentando da mesi di conquistare Tripoli, e in vista dell’incontro di Berlino ha perfino bloccato le esportazioni di petrolio dalle aree controllate dalle proprie forze.
La Libia rappresenta un tassello fondamentale per la sicurezza europea e mediterranea. Il paese detiene le maggiori riserve di petrolio in Africa, un petrolio “dolce” e a basso contenuto di zolfo, dunque più facile da raffinare e particolarmente utile per i mercati Europei. La ricchezza petrolifera potrebbe dunque garantire risorse da destinare allo sviluppo del paese, ma al momento il petrolio si sta rivelando soprattutto una fonte di rivalità. Questa tensione crea importanti rischi anche per le imprese italiane, prima fra tutte l’Eni, che ha dovuto subire il recente blocco petrolifero imposto da Haftar. La Libia costituisce un punto di passaggio chiave, anche se molto rischioso, per i migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana e intenzionati a raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo. Anche questa dimensione della crisi libica tocca inevitabilmente da vicino l’Italia.
La spirale di caos e violenza che sta avvolgendo in modo sempre più stretto la Libia rappresenta senza dubbio una sfida di primaria importanza per la sicurezza dell’Occidente, dell’Europa e, dunque, dell’Italia. Per riuscire a dare un contributo positivo e decisivo, i leader delle potenze regionali e globali coinvolte dovrebbero impegnarsi con pragmatismo e serietà in uno sforzo di coordinamento volto a stabilizzare la crisi e a preparare le condizioni per una soluzione di lungo periodo. Occorre però riconoscere che la risposta della comunità internazionale è stata finora deludente. Alcuni paesi con seri interessi in gioco si sono mostrati piuttosto timidi, mentre altri si sono rivelati per molti versi spregiudicati e attenti soprattutto al perseguimento di interessi a breve termine. Questa combinazione ha creato delle dinamiche distorte e controproducenti sia per le potenze coinvolte nella crisi che per la Libia e il suo popolo, che dopo i decenni trascorsi sotto la dittatura di Gheddafi merita di tornare a decidere liberamente del proprio destino.
Diego Pagliarulo
[…] condizionare. La situazione siriana offre anche un cupo presagio di ciò che potrebbe accadere in Libia se gli attori internazionali coinvolti non riuscissero a trovare compromessi tali da garantire una […]
[…] di Mohammed Morsi. I governi turco e qatariota hanno posizioni simili anche per quanto riguarda la crisi libica: entrambi sostengono il Governo di accordo nazionale (Gna), guidato da Fayez al-Serraj e […]
[…] unità nazionale – che dovrebbe formarsi dopo i colloqui in programma a ottobre (una sorta di Berlino 2) – per altri, invece, essa è il riflesso del fallimento del suo tentativo di rimanere al […]